Notizie Radicali
  il giornale telematico di Radicali Italiani
  lunedì 29 agosto 2005
 Direttore: Gualtiero Vecellio
Cavour (7)

di Romolo Murri

Si è detto che l’uomo di Stato non è un precursore. E sia: ma egli sa discernere con occhio sicuro la efficacia delle idee che la storia matura e vedere nelle cose opportunità che gli altri non vedono e valutare la forza del potere che ha in mano, e gettarla audacemente sulla bilancia, dalla parte della riforma che solo una minoranza esigua, forse, caldeggiava e che la gente di senno dichiarava unanimemente immatura e peggio; e in questo egli mostra il suo valore.

 

Oggi, a più che mezzo secolo di distanza, l’opera di Cavour ci si spiega dinanzi in una semplicità di connessioni e di sviluppi simile a quella con la quale il fato si compie in una tragedia di Eschilo.

 

In nessun campo Camillo Cavour fu un novatore; tutto il suo pensiero era solidamente radicato nella coscienza della propria regione e nella cultura media dell’Europa occidentale. In politica, egli aveva scritto, è meglio continuare che ricominciare; e il suo ricominciare è sempre infatti un continuare, anche quando il passato appariva oramai spiritualmente morto in lui. In religione, più specialmente, non si saprebbe dire se egli combatté o difese la Chiesa: combattere in essa quel che ostacolava il suo piano era in sostanza un difenderla, un salvarla suo malgrado dai danni di un errore enorme, quello di mettersi sulla vita di un paese che vuol conquistare se stesso, era un permetterle di continuare. Dall’albero vecchio, egli straòciava via i rami più putridi, perché gli altri ripigliassero fiato.

 

Era Cavour un credente? Nei suoi anni giovani, si occupò molto del problema religioso. Non era una coscienza religiosa, nel senso che noi diamo a questa parola, di attitudine a sentir le cose sub specie aeterni; ma vedeva la vastità e l’importanza del problema e vi pensava su. Scriveva, allora: “A noi che non abbiamo fede religiosa dobbiamo mettere tutto l’affetto dell’animo a servizio dell’umanità”, parole nelle quali si può trovar come un’eco del pensiero e della fede di Mazzini. Più tardi, non avrebbe forse saputo dire egli stesso se aveva o no fede religiosa.

 

La religione era gran parte di quel mondo vecchio che egli vedeva crollare e, sotto questo aspetto, la detesta e disprezza. E con disprezzo parla spesso del clero, lamenta i “sozzi intrighi di preti e di vecchie bacchettone” che ostacolavano a corte i suoi disegni, procurandogli  talune delle maggiori  noie della sua vita politica, aborrisce l’odio teologico e l’arroganza sacerdotale, scrive: “partout, sous des formes diverses et avec des moyens differents, la cour de Rome pursuit le meme but, l’accroisement du pouvoir temporel, la domination du clergé”.

 

Ma le sue collere e le sue misure legislative si arrestano sempre dianzi al cattolicismo come religione ed al sentimento popolare che lo sorregge; e questo non per opportuna menzogna politica né per scettica indifferenza verso un nemico troppo forte, ma per intimo convincimento, perché egli credeva in una missione della Chiesa non finita e capace anche di rinnovarsi nella democrazia.

 

Non si interessava di dispute teologiche né di ricerche filosofiche; non aveva una misura propria per giudicare della verità e del torto fra i sostenitori della religione e gli avversari di essa; ma lo guidava anche in ciò il suo istinto di uomo politico. Convinto della legittimità e della perennità del sentimento religioso, accettava, senza troppo discuterla, la religione che il suo popolo e la tradizione da cui era sorto gli offrivano; abilissimo estimatore della efficacia sociale delle dottrine, vedeva il pericolo delle facili ed audaci negazioni, l’utilità dell’ingenua schiettezza religiosa nelle masse e di una spontanea collaborazione fra Stato e Chiesa nell’opera di civiltà.

 

7) continua.